Società conviviale e fraterna

  La tradizione cooperativa è nata da patti di fratellanza sostenuta da atti simbolici fondativi. Esistono anche oggi luoghi nella società in cui le persone continuano a spendersi al servizio dei legami sociali, in cui molte delle parole e dei gesti non hanno in vista uno scopo materiale. Ci sono esperienze collettive in cui la relazione con l’altro, sia questi familiare, amico o estraneo, avviene senza calcolo nella consapevolezza di una comune appartenenza a una comunità più vasta. In questo caso la convivenza manifesta la sua “qualità fraterna”, dove l’aggettivo è giustificato dal fatto che i valori familiari della personificazione e del radicamento in una storia di legami interpersonali diventano valori sociali. La prima esperienza di mondo vitale, che è la famiglia, fornisce il suo “codice”, la fraternità appunto, con il quale arricchire di senso e valore la vita collettiva. Questa considerazione critica dei concetti portanti dell’economia porta ad associare spesso al termine “sostenibilità” l’aggettivo “conviviale”, per indicare la presenza dello spirito del dono accanto all’equa ricerca del profitto. Questo significa che, prima e parallelamente di ogni soluzione ‘tecnica’, sarà necessario porre attenzione sull’attitudine interiore di tutti i soggetti interagenti, poiché solo in una crescita di umanità (cioè di virtù) è possibile intravedere la fine della crisi.  
Si costruiscono in questo modo comunità, convivenze sociali e forme di housing che sembrano tradurre in opera le antiche forme di philia greca, il comunitarismo delle prime comunità cristiane, le convivenze collettive del monachesimo antico e medioevale. Dono e contratto s’intrecciano in imprese economiche di buona reciprocità.
Non bisogna tuttavia nutrire illusioni che la fraternità possa diventare con facilità un principio economico di crescita umana. Nella modernità “liquida” tutto si scioglie: significati, legami, individualità. Prevale un nuovo tipo di aggregazione sociale che Z. Bauman ha descritto come “sciame”, un insieme di entità senza scambio né cooperazione. Le società diventano insicure e rischiose, il mondo appare "terra di nessuno", le famiglie si trasformano in case-albergo. Gli individui, senza radicamento, si sentono come traditi: si attendevano molto e ottengono poco. Ognuno pensa a "farsi da sé": nella società si moltiplicano le forme di defezione e di protesta, nelle case cala il silenzio. I legami sociali diventano evanescenti: la vita collettiva appare povera di forme condivise, di codici sociali, di luoghi e di tempi capaci di dare forma ai sentimenti, alle emozioni, alle esperienze relazionali e cognitive degli individui.
    Da dove nasce lo stimolo all’impegno e all’innovazione? Sorgono sempre più dubbi, confermati anche dalle recenti scoperte delle neuroscienze e dalle base neuronali dell’empatia che le persone siano motivate dall’egoismo e dalla concorrenza, come suggerisce la concezione antropologica social-darwinista. Secondo questa ideologia le persone perderebbero la motivazione al lavoro quando non fossero sospinte da una volontà di arricchimento, di prestigio, di crescita del livello di vita.
L’economia della speranza potrebbe ricevere quindi la critica che la limitazione della concorrenza, della ricerca del vantaggio individuale possa diminuire la motivazione al lavoro e all’economia. Le imprese sociali dimostrano il contrario.







Questa scheda  è stata redatta da: Domenico Cravero   in data  10/11/2018